Il trattamento delle lesioni traumatiche del rachide sino ad oggi può solo mirare all’eliminazione della compressione midollare e radicolare, al ripristino della stabilità della colonna vertebrale, al contenimento del danno primario, quando presente, e alla prevenzione del danno secondario. Questi obiettivi vengono perseguiti con il trattamento medico e quello chirurgico. Esistono linee guida, adottate a livello internazionale, che indicano le procedure da effettuare nel luogo del primo soccorso, durante il trasferimento in ospedale, e le misure che permettono di ridurre i rischi correlati a eventuali errori nella gestione del trauma.
La gestione del trauma attualmente comprende una fase chiamata di compensazione della colonna, in cui una persona con una lesione sospetta è trattata come se avesse una lesione spinale fino a che il danno invece viene escluso. L'obiettivo è quello di prevenire ulteriori danni al midollo spinale. Le persone vengono immobilizzate sulla scena dell’incidente finché vi è l’evidenza che non vi è alcun danno alle più alte porzioni della colonna vertebrale. Queste azioni vengono tradizionalmente svolte utilizzando un dispositivo chiamato tavola spinale lunga e un colletto duro. La terapia medica, assicurando un’adeguata pressione arteriosa e preservando le condizioni respiratorie, ha come obiettivo la prevenzione dell’ipossia e dell’ischemia midollare causate dal danno primario e da quello secondario poiché garantisce la corretta irrorazione e ossigenazione dei tessuti nervosi; estremamente dibattuto ancora oggi è l’uso dei farmaci cortisonici come il metilprednisolone in relazione al rapporto costo/beneficio. Una volta in ospedale, dopo che le eventuali ferite mortali immediate sono state risolte, i soggetti vengono valutati per la lesione spinale, in genere mediante una radiografia a raggi X o una tomografia computerizzata. Le complicazioni delle lesioni del midollo spinale possono includere shock neurogeno, insufficienza respiratoria, edema polmonare, polmonite, embolia polmonare e trombosi venosa profonda, molte delle quali possono essere riconosciute all'inizio del trattamento e evitate. I pazienti spesso richiedono un trattamento prolungato in un reparto di terapia intensiva. Le tecniche di immobilizzazione delle zone colpite in ospedale comprendono l’apparato di Gardner-Wells, che può esercitare una trazione vertebrale per ridurre una frattura o lussazione. Un trattamento sperimentale, l'ipotermia terapeutica, viene utilizzato ma non vi è alcuna prova che migliori i risultati. Anche il mantenimento della pressione sanguigna arteriosa media ad almeno 85-90 mmHg con liquidi per via endovenosa, trasfusioni e sostanze vasopressorie per garantire un adeguato apporto di sangue ai nervi e prevenire il danno è un altro trattamento con poche prove di efficacia . Il trattamento chirurgico ha come scopo la decompressione midollare o radicolare e la stabilizzazione mediante osteosintesi attraverso molteplici vie d’approccio (anteriori, posteriori o combinate). Le fratture e le lussazioni del rachide vengono inquadrate secondo correnti classificazioni universalmente accettate che valutano l’aspetto morfologico della frattura o della lussazione e i meccanismi biomeccanici che l’hanno provocata. L’interpretazione delle fratture vertebrali secondo questi schemi permette la scelta del trattamento chirurgico più appropriato. Con una corretta integrazione delle terapie mediche e chirurgiche è possibile migliorare la prognosi nel trattamento del trauma spinale. Tutto questo non ha alcuna efficacia nella paralisi midollare e lo scopo della nostra Fondazione è proprio quello di cercare una soluzione della paralisi.